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  • Immagine del redattorepier paolo caserta

Il mio 11 settembre - note a margine


Da qualche giorno tutti vogliono sapere "cosa stavi facendo l'11 settembre". Rispondo, l'11 settembre del 1973 non ero ancora nato. Tuttavia, dovendo spiegare la mia idea e la mia sensibilità politica in sintesi, dovendo dire da che parte sto in una sola parola, non ho dubbi: quella parola è allendista.

Sento, allora, l'esigenza di mettere insieme almeno alcune brevi riflessioni a margine della ricorrenza dell’”altro” 11 settembre, il golpe cileno del 1973 fomentato dagli Stati Uniti, che rovesciò il governo del Presidente socialista democraticamente eletto nel novembre del 1970, Salvador Allende, aprendo la strada alla dittatura del generale Augusto Pinochet. Un pezzo fondamentale di storia che i ragazzi non conoscono e che dovrebbero conoscere, perché si apre direttamente sulla comprensione critica del presente.


A mio parere, infatti, il golpe cileno ha un valore periodizzante, è il contrassegno che avvia l’epoca dell’egemonia neoliberale non ancora chiusa, che si approfondisce negli anni Ottanta del secolo scorso con il reaganismo e il tatcherismo, prosegue con l’austerity dalle presunte virtù moralizzatrici (quest’ultima è più propriamente da ricondurre all’ordo-liberismo, ma penso che rientrino in un unico paradigma più largo) e trova nel neocapitalismo digitale il suo approdo, la sua ultima versione in ordine di tempo. Il modello dell’individualismo competitivo appare saldissimo e l’attuale ideologia “progressista” oggi inscalfibile non fa che rafforzarlo e proteggerlo, spostando la richiesta di uguaglianza interamente sul terreno dei soli diritti individuali (l’umanità è in marcia verso l’uguaglianza dei diritti civili, le nuove generazioni devono occuparsi di sostenere solo queste battaglie, cosa vuoi che importi se la precarizzazione del lavoro è la norma, se si vedono proporre uno stage dietro l’altro lavorando 12 ore al giorno per 500 euro al mese o buoni pasto, questo è il mercato, è giusto così, ad emergere sono i migliori e avanti il prossimo, soprattutto se munito di idoneo attestato di diversità).

Le pandemia sono sempre acceleratori di processi e la pandemia avrebbe dunque potuto rappresentare un’occasione per invertire drasticamente la rotta e uscire dall’attuale ciclo neoliberale. Penso che questo non stia accadendo e non si vedono le premesse perché accada.

Al contrario, si stanno affermando decisioni politiche che vanno nella direzione opposta, quella di preparare il terreno e creare il consenso per proseguire e promuovere le peggiori linee di tendenza dell’ultimo mezzo secolo (le stesse all’interno delle quali si inscrive la pandemia, per inciso, quale che ne sia stata l’origine) e di rafforzare gli stessi interessi già egemoni (attacco alle tutele e ai diritti del lavoro, privatizzazione della sanità pubblica, attacco al welfare universalistico). Queste decisioni politiche e quelle che ancora verranno adottate, grazie alla paura e alla diffusa esigenza di “tornare alla normalità”, sembrano poter contare su un largo consenso, hanno fatto breccia nel senso comune. A molti sembra che il corso all’orizzonte vada benissimo così purché si esca dall'incubo. Ma non è evidente che quelle decisioni politiche siano necessarie per il contrasto della pandemia. Hanno un legame molto più diretto e dimostrabile con i propri scopi e con le caratteristiche del ceto politico che le attua.

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