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In attesa del M5S, il grillismo

Archiviata l’ultima grillineria del Vito Crimi di turno, e con essa il sensazionalimo e la facile ironia, sarà più utile tentare di fornire una valutazione complessiva dell’operato degli eletti del M5S. Dallo scorso 25 febbraio oscillano, in Parlamento, tra l’assumere la forma compatta di una falange greca allineata ai desiderata dei leader e l’atteggiamento euforico e immaturo da prima occupazione scolastica. Tra l’una e l’altro, qualche espulsione, qualche defezione, le denunce dei fuoriusciti.
Segnali di un movimento che, molto faticosamente, tenta di emanciparsi da una leadership che ha dimostrato la sua insofferenza non solo verso la libertà di dissenso e la democrazia interna nel movimento, ma nei confronti della stessa democrazia parlamentare – che è cosa ben diversa dalle degenerazioni della politica: non ci dovrebbe essere bisogno di dirlo, ma Casaleggio-Grillo gioca da sempre su questa falsa equazione. E ha sempre concretamente cercato, Casaleggio-Grillo, di mantenere uno stretto controllo sui suoi (e intendo proprio suoi) parlamentari. Si vedano il violento attacco di Grillo all’articolo 67 della Costituzione (Carta intoccabile ad intermittenza) relativo all’autonomia dei parlamentari (“assenza del vincolo di mandato”), chiaramente non apprezzata e non gradita; la terribile sfuriata all’indirizzo della dozzina di suoi parlamentari che avevano osato votare Grasso presidente del Senato invece di astenersi come avrebbero dovuto (e definiti da Grillo “traditori”!), le testimonianze di fuoriusciti del movimento sull’autoritarismo dei leader. A volte capita che alcuni eletti Cinque Stelle ne azzecchino una; altre, assai più spesso, hanno palesato somma incompetenza.
Ma quello che hanno dimostrato in tutti i casi è una stretta dipendenza dai leader (anche per le spiacevoli conseguenze che comporta dissentire apertamente).
Rimane, inalterata, la questione di fondo: i parlamentari del M5S sono una cosa, Casaleggio-Grillo un’altra (la base del M5S, nella sua eterogeneità, un’altra cosa ancora). Il problema nel M5S è soprattutto la leadership. Le posizioni di fondo espresse dagli eletti del M5S, e la specifica sensibilità che è emersa, a margine della recente discussione della legge contro l’omofobia a la transfobia, per esempio, contrastano con la trivialità di Grillo più volte dimostrata sugli stessi argomenti (una per tutte: il 2 marzo 2011, a chiusura di un comizio a Bologna, salutò Vendola definendolo “Un buco senza ciambella”). Questa palese sfasatura potrebbe servire, tra l’altro, a smontare uno degli eterni ritornelli del movimento, contribuendo, chissà, a rendere consapevoli i pentastellati che quando ci si confronta concretamente con l’attività legislativa, non meno che con la direzione politica in genere, si deve necessariamente scendere nel merito di prese di posizione che configurano uno specifico posizionamento ideologico. Nel caso dei diritti civili, orientamenti e scelte concrete si situano ogni volta su un punto dell’asse conservatorismo/progressismo.
Ci vorrà ancora del tempo, e molto, perché il M5S dimostri, se mai lo farà, di potersi emancipare dai suoi leader, di poter scoprire cos’è. Prima o poi sapremo se la creatura può affrancarsi dai suoi artefici. Per ora, la prima si trova ancora ben dentro ad una condizione di sudditanza nei confronti dei secondi, che di buon grado continuano ad incoraggiare, ed anzi promuovere, tutte le ambivalenze tipiche di una piattaforma confusionista, confidando di procrastinare illimitatamente l’autocoscienza del movimento in nome della lotta alla Casta.

(PPC su Mondoperaio, 10/10/2013)

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