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Il corpo del condannato


Alla fine venne squartato, - racconta la “Gazzetta di Amsterdam” [aprile 1757] . Quest’ultima operazione fu molto lunga, perché i cavalli di cui ci si serviva non erano abituati a tirare; di modo che al posto di quattro, bisognò mettersene sei; e ciò non bastando ancora, si fu obbligati, per smembrare le cosce del disgraziato e tagliarvi i nervi e troncargli le giunture con la scure…
Si assicura che, benché fosse stato sempre un grande bestemmiatore, non gli sfuggì alcuna bestemmia; solamente i dolori eccessivi gli facevano lanciare grida orribili, e spesso egli ripeté: “Mio dio, abbi pietà di me; Gesù soccorrimi”. Gli spettatori furono tutti edificati dalla sollecitudine del curato di San Paolo che, malgrado la sua tarda età, non lasciava un momento di consolare il paziente
(M. Foucault, Sorvegliare e punire, nascita della prigione, capitolo primo, Il corpo del condannato).


Quella descritta in queste righe è la cruenta esecuzione pubblica di un condannato nell’antico regime, prima della nascita della prigione. Proprio questa grande transizione dall’esposizione pubblica del supplizio alle strutture detentive è l’oggetto del noto studio del filosofo e sociologo francese Michel Foucault.


ESPORRE – AMMONIRE – EDIFICARE – FUNGERE DA DETERRENTE PER IL DELITTO, questo lo schema alla base dell’esibizione del supplizio. Chiedo al lettore di tenere presente questo schema, perché se ne vedrà tra breve l’applicazione in un mutato contesto.


Sono tornato a leggere il saggio di Focault a seguito della costernazione che si è impadronita di me di fronte al numero spropositato di notizie relative al decesso di “no-vax” (cosiddetti), spinto dalla forte analogia nello schema di questa morte spammata, alla quale sembra che molti siano ormai assuefatti, e delle reazioni documentate che raccoglie e suscita, con l’intento generale alla base dell’esibizione del supplizio nella società di antico regime. La produzione, soprattutto da parte dell’informazione oggi più fruita, e cioè quella online, di tonnellate di non-notizie relative a “no-vax pentiti in punto di morte”, - questa la sintesi, questo il format, con ampio corredo di commenti quasi trionfanti per il decesso purificatore, ci riporta all’esposizione “edificante”, se non del corpo almeno del l'immagine continuamente evocata del luogo più prossimo alla morte, la terapia intensiva. Del resto, la finalità edificante è sempre stata propria di tutte le forme paternalistiche o autoritarie di potere.


Occorre premettere che un ragionamento freddo conduce a riconoscere che non esiste alcun senso giornalistico nell’elevare l’evento della morte, tragica come tutte le morti, di un non vaccinato al rango di notizia, per il semplice fatto che questo evento contravviene alla prima regola del giornalismo, sintetizzata nella formula “uomo morde cane”: la normalità non è per definizione notizia. E, quindi, posto che ovviamente il virus è molto più letale per i non vaccinati (in un rapporto, mi pare di capire, pari circa a 10 a 1), il decesso di un non vaccinato, proditoriamente definito sempre “no-vax” dai resoconti di questa straripante produzione, non è in alcun modo una notizia da un punto di vista giornalistico, bensì rappresenta purtroppo la situazione più normale. Non potendo avere alcun senso giornalistico, queste non-notizie trasformate in notizie, la cui produzione è copiosa e virale, hanno soltanto un fine “edificante”, nell’esibire la morte del “no-vax” di turno. Mancando proprio nei requisiti che fanno di un accadimento una notizia, sono anatemi, più che notizie, diffusi per muovere al pentimento, alla “conversione”:


ESPORRE – AMMONIRE – EDIFICARE – FUNGERE DA DETERRENTE PER IL DELITTO (in assenza del delitto)


Queste non-notizie nulla hanno a che spartire con il giornalismo e riportano, per via di analogia, non già a pratiche (non c’è una autorità coercitiva che infligge il supplizio al corpo del condannato, che è stato condotto in ospedale per cercare di curarlo), tuttavia a finalità edificanti tipiche dell’antico regime.

La pandemia sembra così aver riacceso la “lugubre festa punitiva” (Foucault, cit.), basata sull’esposizione pubblica del supplizio, la cui ’”obbrobriosa rappresentazione deve tener lontani dal delitto” (Foucault, cit.) del rifiuto della vaccinazione. Gli emoticon sorridenti e la grande quantità di commenti più o meno soddisfatti quali “Certo è sbagliato gioire per la morte MA se l’è voluta” rivelano un sentimento che non deve essere molto diverso da quello che provavano gli spettatori dell’esecuzione del 1757 e rivelano la presenza della folla dei lettori EDIFICATA dalla morte ammonitrice e dall’esposizione mediatica che racconta il corpo nel tratto più vicino alla morte.


Ovviamente il motivo per cui i non vaccinati sono sempre chiamati “no-vax”, senza mai alcuna verifica giornalistica, che sarebbe dovuta ma che più nessuno richiede, dell’eventuale natura ideologica della scelta di non vaccinarsi, si comprende facilmente: in questo quadro il rito purificatore che circonda la morte, come nell’antico regime, può attivarsi solo in presenza della colpevolezza, dunque della scelta ideologica e irresponsabile di non vaccinarsi. In questo modo, gettando sui non vaccinati lo stigma dell’anti-vaccinismo ideologico radicale, questa informazione spazzatura sta provvedendo alla criminalizzazione dei non vaccinati.


Non so nulla dei vaccini e non ne discuto l’utilità né l’efficacia. Discuto lo schema dell’informazione e il sentimento dell’opinione pubblica che sta rinfocolando. Una massa plaudente trova normale prendersela con i non vaccinati e farlo per giunta nel nome della razionalità scientifica, proprio mentre avalla senza difficoltà un’informazione che gronda un paternalismo degno dell’antico-regime.


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