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Il reddito di cittadinanza è iniquo se non si affrontano i grandi e irrisolti nodi strutturali



Anticipo qui alcune considerazioni sul reddito di cittadinanza che progetto parte di un articolo più esteso. La questione centrale è per me la seguente: persino modelli virtuosi, o parzialmente virtuosi, se applicati ad un contesto non virtuoso: 1) si traducono in misure che non raggiungono i giusti beneficiari; 2) diventano anti-meritocratici e 3) si rivelano in ultima analisi non progressivi o popolari, bensì al servizio di progetti populisti e reazionari. Ritengo sia proprio questo il caso. Vediamo perché. L’Italia è un Paese nel quale l’economia sommersa assume dimensioni enormi e il lavoro nero è molto diffuso come anche l’evasione fiscale. Una misura come il reddito di cittadinanza, apparentemente improntata a un principio di equità sociale, non dovrebbe essere pensata disgiunta da un serio contrasto ai mali endemici del Paese. Persistendo queste condizioni non si è affatto troppo sospettosi a pensare che la platea che finirà per beneficiare del reddito di cittadinanza non sarà composta tanto dalle fasce più sofferenti, bensì, per esempio, da quanti percepiscono già redditi da lavoro nero e potranno ora richiedere il reddito di cittadinanza. Con grave pregiudizio proprio di quei cittadini onesti che il M5S ha sempre dichiarato di avere a cuore. Non si vede infatti quale motivazione residua dovrebbe avere un impiegato che percepisce 1 500 euro al mese lavorando a tempo pieno, o un lavoratore autonomo con partita IVA che lavora duramente per mettere insieme al netto delle imposte anche meno di quella cifra, di fronte a quanti, grazie al reddito di cittadinanza, integrato con una quota di lavoro nero, potranno contare su un introito complessivamente confrontabile con quello dei suddetti lavoratori, ma lavorando molto meno di loro. Sarebbe molto diverso se il reddito di cittadinanza venisse in combinazione con serie politiche di sostegno ai salari, altrimenti si rischia seriamente di creare il paradosso che lavorare converrà sempre di meno, andando a peggiorare ulteriormente un quadro già critico. Questo è solo un esempio di come un provvedimento apparentemente ispirato all’equità sia agli effetti pratici iniquo ne non si affrontano i grandi e irrisolti nodi strutturali. Si confronti punto su punto l’Italia con quei Paesi che hanno una solida tradizione di Stato sociale e nei quali esistono ammortizzatori sociali grosso modo simili al reddito di cittadinanza: ci si rende facilmente conto che in quei Paesi le regole sono più trasparenti, l’evasione fiscale e il lavoro nero assai più contenuti, i controlli più rigorosi,il sistema fiscale, per altro, improntato a un criterio di progressività, in modo da alleviare il peso del prelievo sulle fasce più deboli. In effetti, se il reddito di cittadinanza fosse davvero inteso a perseguire gli scopi dichiarati, per raggiungere i suoi migliori effetti dovrebbe essere posto in essere in combinazione non già con la flat tax, bensì, esattamente all’opposto, con una ristrutturazione del sistema fiscale nel senso della progressività, essendo già il sistema fiscale italiano tra i più iniqui. Altrimenti l’impressione è che si continui a tartassare i soliti noti, sui quali grava la maggior parte del carico fiscale complessivo, mentre per i redditi elevati c’è la manna dal cielo della flat tax, che inasprisce ulteriormente l’iniquità del sistema fiscale, e per chi preferisce non lavorare c’è il reddito di cittadinanza in condizioni non dissimili da chi lavora duramente. In questa situazione, chi avrà più voglia di lavorare? Naturalmente è perfettamente vero e del tutto chiaro che tutti i mali endemici di cui soffre l’Italia sono preesistenti a questo governo, ma il punto è che il governo giallo-verde non soltanto non vuole risolverne nemmeno uno, ma agisce nel senso di inasprirli, raccogliendo il massimo consenso possibile, ma il gioco consiste tutto e solo nell’avere il plauso dei poveri mentre si fanno gli interessi dei ricchi. Il governo giallo-verde ha intenzione di affrontare questi nodi strutturali per rendere veramente sociale, equa e popolare, e non iniqua e populista, una misura di sostegno alle fasce più deboli come il reddito di cittadinanza ? Nonostante i molti proclami, dubitarne sembra più che lecito. Aggiungo un’altra obiezione sostanziale. L’altro elemento indispensabile per rendere virtuoso e propulsivo il quadro entro cui inserire il reddito di cittadinanza dovrebbe essere rappresentato da 1) politiche rivolte alla crescita e alla creazione di nuova occupazione e 2) aumento degli investimenti in istruzione, ricerca, sviluppo. Se veramente i cinque stelle volessero portare avanti politiche economiche keynesiane e popolari potrebbero farsi attivamente promotori di un piano di grandi opere, manutenzione e messa in sicurezza, di cui il Paese ha un disperato bisogno. In conclusone, il punto non è il reddito di cittadinanza, ma come esso o una misura analoga interagisce nel contesto sistemico nel quale la si immette. Nel contesto italiano, se non si affrontano i succitati radicatissimi problemi, anche un reddito di cittadinanza, cioè una misura che in condizioni diverse e in un quadro diverso mi troverebbe del tutto d’accordo, finisce con l’essere iniqua e al suo posto al servizio di un progetto iniquo. Il punto non è la misura ma il progetto politico, complessivamente molto chiaro, entro il quale è stata pensata. Quello grillo-leghista è il governo per i ricchi e per i furbi. Sbaglio? Non mi sembra, visto che si perseguono la pace fiscale, pensata per i furbi e per i ricchi, e la flat tax, pensata per i ricchi. E per fare questo si aumenta per giunta il debito, cosa che, di nuovo, non mi scandalizzerebbe molto, se il quadro e gli obiettivi reali fossero molto diversi.

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