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L'esaltazione della Fallaci è un mito insostenibile

È fatale che a ridosso dell'11 settembre si torni a parlare con maggiore intensità di Oriana Fallaci. Normalmente non partecipo alla discussione, essendomene occupato più estesamente all'indomani dell'uscita de "La rabbia e l'orgoglio", criticandola fortemente (scrivendo con altri autori una risposta alle sue tesi).

Sintetizzo ora, a distanza di tempo, quelle posizioni e le perenni ragioni per cui l'esaltazione della Fallaci mi appare un mito insostenibile.


Non sono un buon lettore di romanzi, ma una analisi obiettiva dell'intero percorso della Fallaci e del suo maggiore impatto sul dibattito pubblico mostra, a mio avviso, la necessità di distinguere tra una "prima" e una "seconda" Fallaci. Ho amato molto, per esempio, "Interviste con la storia", la cui dedica recita "A tutti quelli che non amano il potere" e le coraggiose interviste della Fallaci ("Let's talk about war" a Kissinger) erano la messa in pratica di quella dedica.


Stride il confronto con "La rabbia e l'orgoglio", un pamphlet violento, intollerante e islamofobo che ha gettato benzina sul fuoco dello scontro di civiltà e che, quindi, capovolge completamente la dedica di" Interviste con la storia". Purtroppo la scala di gravità della" seconda" Fallaci è enorme e ha lasciato il segno.


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