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  • Immagine del redattorepier paolo caserta

"Liberale" e "Neoliberale"


Vorrei cercare di fare chiarezza sull’uso di due termini che spesso sono, a mio avviso, usati male nella loro relazione, e cioè “liberale” e “neoliberale”. Il problema deriva soprattutto dal secondo e in sintesi mi sembra essere il seguente: il campo semantico del termine “neo-liberale” viene da molti inteso come la semplice somma del prefisso “neo” + “liberale”, ma le cose non stanno così. In effetti, mi è stato a volte rimproverato di usare il termine “neoliberale” quando avrei dovuto usare, secondo le critiche ricevute, il termine “neoliberista”. Queste osservazioni, come si vede, hanno come presupposto la piena sovrapponibilità di "liberale” e “neoliberale”: il secondo avrebbe lo stesso significato del primo con l’aggiunta del prefisso “neo”. Ovviamente, se questo fosse vero, le critiche sarebbero fondate, perché di sicuro resta la classica e invalicabile distinzione tra “liberale”, il cui ambito d’uso è politico, e “liberista”, il cui ambito d’uso è economico. Tuttavia, credo che sia sbagliato proprio il presupposto e difendo l’uso del termine “neoliberale” come sostanziale sinonimo di “neoliberista” (semmai ha significato più ampio), come mi accingo a mostrare di seguito attraverso l’elenco di una serie di occorrenze significative e contesti d’uso.


Premetto che considero la parola “liberale” una parola nobile. Di certo rimane tale sul piano storico e per un certo periodo ho creduto che potesse essere ancora attuale. La mia prima militanza politica è avvenuta all’insegna del socialismo liberale, dunque della fiducia nell’incontro tra le tradizioni di pensiero socialista e liberale. Per la verità, con il passare del tempo mi sono dovuto rendere conto che oggi i liberali sono quasi tutti liberisti. Mi sono detto ingenuo e non considero più il liberalismo un’opzione di trasformazione della società, pur riconoscendone pienamente il ruolo e la funzione storica, che va sempre tenuta presente e analizzata nelle sue trasformazioni, come anche l'eredità metodologica. Non mi dilungo, ora, su quella che sarebbe inevitabilmente una ramificazione dispersiva del discorso e cerco di restare al nodo principale, ossia la distinzione concettuale e terminologica tra “liberale” e “neoliberale”. In realtà, proprio la netta differenza tra i due termini sta a testimoniare dell’involuzione storica del liberalismo e della sua coincidenza con il paradigma del liberismo, che corre di pari passo alla riduzione della politica all’economia e alla governance tecnocratica. Per formazione, considero utile far poggiare il mio ragionamento su una ricognizione delle occorrenze attraverso alcune fonti selezionate in rete:


- “L'egemonia neoliberale e la paralisi dei movimenti. Intervista a Susan George” Micromega 7 ottobre 2013, in cui “egemonia neoliberale” viene usato per comprendere quindi gli aspetti di egemonia economica, ma anche politica e culturale.


- “Dal compromesso socialdemocratico all’egemonia neoliberale” - titolo di un articolo di Pandora rivista; nello stesso articolo si legge: “l’accettazione dell’egemonia neoliberale da parte della sinistra riformista”, e ancora “A differenza di quanto accaduto negli anni Settanta, le difficoltà economiche non hanno ancora portato ad un cambio di paradigma egemonico: sebbene per salvare le economie molte “azioni non convenzionali” siano state e siano tuttora compiute dai governi e dalle banche centrali, l’impianto di politica economica continua ad essere quello neoliberale. Questo è tanto più vero in Europa dove, sotto la spinta del duo Merkel-Sarkozy, sono state imposte ai paesi dell’unione monetaria politiche di austerità che mirano a far ricadere l’onere del riequilibrio economico sui paesi periferici dell’area euro” Non si tratta affatto di usi inavveduti del termine: ci si riferisce ad un paradigma, ad un modello egemonico appunto, che non si caratterizza in senso esclusivamente economico, ma anche ideologico-culturale e di governance politica.


- “Il coronavirus e la crisi dell’ordine neoliberale” di Eugenio Galioto su Senso Comune, 10 marzo 2020; dove si legge ancora: “Se il baratto tra libertà e sicurezza individuali (in termini biopolitici di protezione dell’incolumità fisica e sanitaria dell’individuo) è il cuore dell’opzione neoliberale, il fallimento della capacità del mercato e dello “Stato minimo” nel garantire tale sicurezza rende manifesta l’insostenibilità della scelta a monte. Il liberalismo – ci dice Foucault – coincide con il governo della popolazione, con la presa a carico della vita dei cittadini, la cura del loro benessere in quanto componente fondamentale della “ricchezza” di un nazione. I dispositivi di sicurezza sono quelle strategie della governamentalità neoliberale, volte non a disciplinare i corpi, a limitare coercitivamente le azioni degli individui, bensì a controllarne gli effetti, a far sì che, attaverso l’uso di precisi calcoli statistici e predittivi, si prevengano i rischi sociali e si ottengano risultati ottimali.”


I contesti d’uso dovrebbero chiarire abbastanza bene che “liberale” e “neoliberale” hanno, al di là della ovvia matrice comune, campi semantici diversi e il secondo termine non costituisce la semplice evoluzione lineare del primo.


La lunga notte neoliberale inizia a mio avviso l’11 settembre del 1973 con il golpe cileno e si fa fonda con il tatcherismo e il reaganismo nel corso degli anni Ottanta, per poi mutare pelle conservandosi con l’austerity.


Espressioni chiave cercate:

“egemonia neoliberale” “ciclo neoliberale”


[prima stesura]


[fonte immagine: cubadebate]

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